TANTA GENTE A BIHAĆ ?

La città si adagia sul fiume Una, che quest’estate patisce, come tutti i fiumi della Bosnia, una grave siccità, e comprende al suo interno tante aree verdi che sono ristoro al caldo torrido e luogo di chiacchiera e di passeggiata. Nel parco in centro si incontrano infatti, specialmente alla sera, giovani coppie con figli piccoli, famiglie, anziani a passeggio, turisti provenienti dai paesi arabi, “internazionali”. Le donne sono velate, o completamente velate, o senza velo. La varietà e quantità delle persone che popolano le vie del centro e affollano i numerosissimi locali dipendono anche dal periodo. In agosto infatti la “diaspora” bosniaca rientra nel paese e il “turismo umanitario” insieme con le “vacanze solidali” sono ripresi dopo i mesi della pandemia. Tra le tante persone ci sono anche i single men in cammino o in cerchio sui prati. A Bihać infatti circolano giovani migranti che non accettano la segregazione nel campo di Lipa a gestione governativa – in costruzione a 20 km circa dalla città, su un altipiano completamente isolato – e che vivono negli edifici abbandonati e periodicamente sgombrati, nelle jungle nei boschi e nei prati limitrofi alla città, in condizioni degradanti.

La famigerata Dom penzionera, definitivamente sgombrata e chiusa da grate di metallo e da nastri di plastica – sono stati usati quelli antimine – che ne impediscono l’accesso, silenziosa e vuota, sembra indicare il successo delle pratiche messe in atto dalle istituzioni locali. In realtà, a qualche metro di distanza, lungo la passeggiata sul fiume, gruppi di giovani migranti sono seduti all’ombra degli alberi, si lavano e lavano i loro indumenti nelle acque dell’Una, alcuni si riparano dal sole sotto un telo fissato alla rete del tennis club adiacente alle rovine della Dom penzionera. Contrasti indicativi di una complessità che non può essere semplificata nella dicotomia cittadini/migranti, né essere ridotta all’opposizione della popolazione verso le vittime delle politiche di segregazione.

Le persone si passano accanto nell’andare e venire dei gruppi che tornano o partono per il game, o stanno, sulle panchine sull’erba dei giardini, lungo le strade. Molto raramente chiedono l’elemosina. Si possono evocare il fatalismo, la mitezza, la noia o la disperazione per descrivere comportamenti e atteggiamenti, ma forse è più chiaro dire che cosa non sono le “persone in movimento”: né vittime passive né attori con un piano preciso, interpreti di una quotidiana rappresentazione di se stessi allo sguardo degli “umanitari”, siano coloro che lavorano nel sistema, che non sempre significa per il sistema, siano coloro che ne vogliono stare fuori.

Dei cosiddetti Temporary Reception Centres gestiti da IOM a Bihać resta il Borići, per famiglie, edificio addossato a una collina ombrosa in città il cui ingresso è vietato ai non autorizzati. Lungo il sentiero che lo circonda, alcune panchine – installate per supporting local communities in Una-Sana Canton  come recita la stessa targhetta IOM – invitano alla sosta e al refrigerio nelle ore più calde, invece sono prevalentemente vuote: le persone stanno all’interno, le guardie del servizio di sicurezza stazionano in cortile, qualcuno si affaccia alle finestre per avere una migliore connessione del telefono. Le finestre hanno sbarre metalliche recentemente imbiancate con vernici multicolore. Pochi bambini frequentano la scuola, benché le autorità locali e il personale scolastico non ostacolino l’accesso a questa opportunità, anzi, ma mancano insegnanti di sostegno.

Secondo i dati OIM[1] nei 4 centri operativi in Bosnia Erzegovina a fine agosto erano presenti 3038 persone, nel Borići, a fine maggio, vivevano 179 persone componenti di nuclei familiari.

La stima di chi a fine luglio si trovava fuori dai centri[2] è di 1876 persone, identificate in 31 municipalità in 6 Cantoni, ma l’81 per cento del totale -1509 persone – era nel Cantone Una Sana. Si tratta nel 77 per cento dei casi di maschi adulti, in maggioranza di afgani, ma ci sono anche alcune decine di persone tra le quali donne che viaggiano da sole, bambini non accompagnati – prevalentemente afgani- e persone con problemi di salute. Quasi il 70 per cento è stato più di 90 notti “fuori”, e solo il 2 per cento – 31 persone – ha dichiarato che sarebbe interessato a entrare in un centro. Sono numeri che possono essere interpretati in parte, specialmente al confine, come resistenza alla segregazione e al contenimento, che infatti sono il tratto saliente del nuovo centro di Lipa, in piena strutturazione.

Da un lato, la parte “vecchia” del campo, con tende per dormire, pregare e fermarsi, una cucina da campo, un piccolo “game shop” dove acquistare bibite e tessere telefoniche, alcuni spazi dove incontrarsi: qui vivono circa 300/400 persone. Dall’altro, la parte “nuova”, una grande area recintata con container e imprese bosniache all’opera per l’ultimazione degli impianti, organizzata in tre parti: la zona per uomini singoli (circa 1000), quella per minori stranieri non accompagnati (200) e quella per famiglie (300).

Questo è il tempo dell’attesa, variamente abitato e vissuto, soprattutto se si è in preparazione del game.

L’attraversamento delle frontiere costa dai 4000 ai 6000 euro a persona.

A piedi richiede 14 giorni di cammino. Ci viene raccontato che si organizzano gruppi di un centinaio di persone con posizioni definite: davanti, al centro, con maggiori possibilità di farcela se si viene intercettati dalla polizia che solitamente ferma 15-20 persone. Per ogni gruppo di 100 persone che tenta il passaggio dalla Bosnia, mediamente solo 20 raggiungono la meta finale. Quanti non vengono fermati già nell’attraversamento del confine bosniaco-croato vengono intercettati successivamente, durante il cammino o nelle successive frontiere. Spesso accade che le forze di polizia requisiscano tutto alle persone, così da disincentivare ulteriori tentativi. Per rifare il game è quindi necessario riacquistare il necessario per vestirsi, camminare, dormire e mangiare: altro denaro, altra prova, altra esposizione.

Se i singoli devono tentare più volte, apprendendo a poco a poco “come si fa” e talvolta organizzando essi stessi dei passaggi per raccogliere il denaro necessario all’ennesimo game, per le famiglie è tutto più difficile. O si dispone del denaro necessario per gli attraversamenti per ogni singolo componente oppure si tenta ripetutamente, anche in solitaria, il passaggio del confine, sperando che in uno dei diversi tentativi la polizia, verificata la disponibilità di posti per famiglie e minori nei centri croati, non respinga il nucleo familiare ma disponga un’accoglienza. In questo caso, un passaggio è stato fatto ma intanto sono passati mesi.

Bihać come il resto della Bosnia vive un grave fenomeno di spopolamento[3] che si è accentuato dopo il 2015 e determinato non solo da esigenze economiche ma anche dalla delusione in una “transizione” che non si è mai realizzata o meglio, si è affermata come sistema clientelare in un assetto politico amministrativo che lo favorisce.  Un regime che, come in altri paesi dei Balcani Occidentali, include istituzioni democratiche nella forma ma non nella sostanza, perché le istituzioni elettorali, legislative, giudiziarie, mediatiche e di altro tipo sono fortemente sbilanciate a favore di coloro che si spartiscono il potere, caratterizzate dal ruolo forte di una politica informale che scavalca le istituzioni democratiche formali (Lavrič, Bieber 2020). Per molti l’emigrazione è l’unica via d’uscita. Anni fa partiva un componente della famiglia, ora si intensificano i ricongiungimenti familiari e le migrazioni familiari, con ritorni periodici o forme di pendolarismo.

La situazione sociale e istituzionale della Bosnia Erzegovina è spesso trascurata nei racconti sulla “rotta balcanica”. Invece basta camminare per Bihać, viaggiare lungo le strade tra paesaggi incantevoli in contrasto con i diffusi scempi edilizi, osservare quanto la costruzione di chiese e moschee ha marcato il territorio anche nei luoghi più remoti, raggiungere e stare nelle località che non sono interessate al passaggio dei migranti, per comprendere che oggi da questo paese vengono estratte manodopera e risorse naturali e immesse “vite di scarto”.  Un quadro da tenere presente.


[1] https://bih.iom.int/sites/bih/files/2021/Sitrep/IOM%20BiH%20External%20Sitrep_21%20-%2027%20August%202021.pdf

[2] https://dtm.iom.int/reports/bosnia-herzegovina-migrant-presence-outside-temporary-reception-centres-%E2%80%94-round-04-15-july

[3] https://population.un.org/wpp/Graphs/1_Demographic%20Profiles/Bosnia%20and%20Herzegovina.pdf