Indice

1. Valichi e Valle di Susa: una breve panoramica per orientarsi

2. Una stagione di solidarietà

3. Rotte migratorie: indicazioni quantitative

4. Composizione dei flussi

5. 2020: cambiamenti qualitativi nella migrazione

6. Emergenze umane e sanitarie

7. Strategie di accoglienza e forme di umanitarismo

1. Valichi e Valle di Susa: una breve panoramica per orientarsi

La Valle di Susa è stata storicamente un’”area di strada” e un corridoio di passaggio sulla via francigena di cui testimonia la letteratura scientifica. Da Torino la strada risale verso Susa dove vi è la prima biforcazione verso il Moncenisio e poi verso il Monginevro. Oulx è snodo nell’Alta Valle di due cammini transfrontalieri: in direzione di Bardonecchia (Frejus e Colle della scala) e verso Claviere, Monginevro e Briançon. Dal 2017 i migranti hanno iniziato ad arrivare a Bardonecchia per passare in Francia: a piedi per il Colle della Scala e, in alternativa, in treno o a piedi attraverso la galleria ferroviaria del Frejus. A Bardonecchia è stato allestito un centro di accoglienza all’interno della stazione. Dal 2018 il flusso si è indirizzato verso il Monginevro. A Claviere a marzo del 2018, quando il clima rigido toccava temperature di meno 15°, “Briser les Frontières” ha occupato uno scantinato della chiesa (“Chez Jesus”), tollerato dalla Curia per alcuni mesi, poi sgomberato nel mese di ottobre dopo pressioni del sindaco e del parroco di Claviere. A Oulx, in concomitanza dello sgombero di Claviere, è stato aperto un Rifugio istituzionale che è tuttora operativo (http://www.talitaonlus.it/rifugio-fraternitagrave-massi.html). Nel dicembre dello stesso anno viene anche occupata a Oulx una casa dell’Anas: “Chez JesOulx”. Alla data attuale non è stata ancora sgomberata ed è punto di approdo di famiglie e della maggioranza dei migranti. Questi luoghi rimandano a reti di solidarietà ampie e transnazionali che hanno impedito il radicarsi dei passeurs. Si tratta di una rete solidale transfrontaliera che mette in contatto il “Refuge solidaire” di Briançon con i benevoles e gli attivisti italiani. Il territorio transfrontaliero non è solo controllato dalle diverse polizie di frontiera, ma è anche attraversato e monitorato da gruppi di volontari per il soccorso in montagna con le cosiddette maraudes.

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2. Una stagione di solidarietà

Lo sviluppo economico della valle non hai mai risentito della presenza dei migranti: gli invisibili non hanno disturbato l’universo della vacanza e non si è verificato nessun problema significativo di ordine pubblico, mentre sicuramente vi è stata una emergenza umanitaria. Possiamo parlare davvero di flusso perché i migranti hanno utilizzato questa valle per andare oltre, passare in Francia, senza interesse a inserirsi nel mercato del lavoro stagionale, a differenza di ciò che era avvenuto per le precedenti migrazioni (magrebina, albanese e rumena). La presenza del nero, del migrante, del povero hanno però preoccupato le amministrazioni per le possibili ripercussioni sul turismo. Forse solo Oulx ha cercato di governare il problema dei migranti in un’ottica di una cittadinanza più inclusiva, mentre molte testimonianze evidenziano come Claviere, in modo più evidente, e Bardonecchia, in modo più sotterraneo, avrebbero cercato perlopiù di occultare il problema e scaricare l’ingombro su altro comune. La società civile è stata la vera protagonista di questa stagione umanitaria. Centinaia di volontari in questi anni hanno dimostrato che le emergenze possono anche tessere convivenza. Per questa ragione proviamo a ripercorrerne alcune tappe.
Tra il 2016 e il 2017, con l’approssimarsi della stagione invernale, il flusso dei migranti si è concentrato su Bardonecchia. Dall’altra parte della frontiera l’associazione “Tous migrants”, nata nel 2015, ha svolto un ruolo prezioso nel campo dell’accoglienza, del sostegno, e nell’ausilio ai migranti lungo i sentieri innevati. Un “Refuge solidaire” a Briançon e una casa occupata, “Chez Mercel” (per un tempo molto limitato) hanno offerto ospizio a coloro che, stremati, riuscivano ad arrivare in Francia. In Italia il tutto è cominciato con un volontariato spontaneo che ha anticipato le istituzioni. La collaborazione tra italiani e francesi è stata un elemento strategico di questa stagione. All’inizio, il sostegno umanitario ha avuto come scenario l’androne della stazione di Bardonecchia, unico riparo dal freddo. Poi, poco alla volta, l’azione solidale si è amplificata e ha coinvolto giovani della valle, attivisti No Tav, militanti di “Briser les frontières” e semplici persone disposte ad aiutare e a garantire pasti caldi e un minimo di attrezzature per affrontare la montagna, il gelo e la neve. Le condizioni estreme dell’attraversamento (valanghe, nuvole basse, neve, temperature vicine ai meno 20°) hanno sottoposto soprattutto il Soccorso Alpino ma anche la Croce Rossa ad attività incessanti di ricerca e di intervento. Per onor del vero, anche tanti abitanti della Valle si sono impegnati sulle montagne per evitare tragedie, a volte correndo deliberatamente il rischio di incorrere nell’accusa di favoreggiamento dell’emigrazione clandestina.
A questa situazione di grande difficoltà s’è aggiunta nel novembre del 2017 la disposizione da parte di Trenitalia di chiudere tutti i locali interni delle stazioni dell’Alta Valle, pur sapendo che così i migranti sarebbero stati esposti a temperature bassissime. È un fatto per molti versi secondario a cui però hanno fatto seguito proteste che hanno indotto la società a concedere al Comune l’uso di due vani all’interno della stazione di Bardonecchia che sono stati adibiti a rifugio per migranti . Qui, grazie all’aiuto dei medici di “Rainbow for Africa” e dei volontari dell’Associazione per gli Studi Giuridici sulla Migrazione (“ASGI”), sono state garantite attenzioni sanitarie e consulenze giuridiche.
Il progetto prende forma istituzionale nell’inverno 2017/2018: è ambizioso e, a detta di alcuni protagonisti, omette differenze per coinvolgere una pluralità di attori sociali e politici anche di orientamento differente: Prefettura, Comuni (Bardonecchia e Oulx), Rete dei Comuni Solidali, “Conisa”, Diaconia valdese, “ASGI”, Caritas, Croce Rossa, “Rainbow for Africa” e “forze dell’ordine”. Grazie a “Re.Co.Sol.” lo sforzo ottiene anche l’appoggio dei diversi mondi del volontariato e dell’impegno sociale della Bassa Valle. L’obiettivo è fermare, convincere i migranti a desistere nel loro pericoloso intento e fornire loro assistenza medica (“Rainbow for Africa”) e giuridica (“ASGI”). Vi sono finanziamenti da parte della Prefettura e anche la possibilità di reinserire i migranti nei centri che hanno abbandonato per passare la frontiera. L’accordo viene siglato solo da Prefettura e Comune di Bardonecchia a cui verrà assegnato per l’operazione un finanziamento che si aggira sui centomila euro l’anno. Il “Conisa”, per altro verso, ha cercato soluzioni per minori, famiglie e casi particolari scommettendo sulla micro accoglienza. Nello “spazio calmo” del presidio sociosanitario si sono alternati 4 mediatori culturali. Qui è maturata la prima rottura tra il Comune di Bardonecchia e i volontari. Il primo voleva disincentivare con tutti mezzi il passaggio in Francia dei migranti, inducendoli a ritornare verso la città e, in particolare, ai centri da cui erano scappati. I secondi prendevano atto che i migranti non si sarebbero fermati e che senza una fornitura di scarpe, vestiti e indicazioni per non perdersi avrebbero corso il rischio di morire assiderati nella neve o sotto una valanga. Di fatto nel giro di un anno il sindaco di Bardonecchia ottiene il risultato di allontanare i volontari. Successivamente matura il disaccordo con “Rainbow for Africa” che in seguito sposterà il suo intervento a Oulx. Rileggendo l’operato di alcuni sindaci dell’Alta Valle potrebbe emergere una costante: sottrarre all’occhio del turista il migrante e accollarlo ad altri, senza peraltro compromettere la propria immagine.
Il desiderio di rendere invisibili i migranti e di oscurare questa presenza della società civile in un comune che non vuole comparire all’onore delle cronache per problematiche migratorie riceve inaspettato aiuto da fattori tra loro distinti. Il primo ha riguardato la maldestra arroganza della gendarmerie che ha fatto irruzione armata nel presidio sanitario della stazione di Bardonecchia per procedere a una perquisizione di un passeggero sospetto, con il risultato di sollevare un caso diplomatico tra Italia e Francia. Il risultato è stato l’inasprirsi delle relazioni tra polizie frontaliere che s’è tradotto in una sempre maggiore difficoltà per i migranti di passare per il Colle della Scala. D’altro canto, le temperature rigide hanno reso sempre meno praticabile lo scavalcamento del Colle e i migranti hanno inaugurato altra rotta passando per Claviere e Monginevro. Anche lì le condizioni estreme hanno obbligato a interventi per evitare assideramenti. Volontari, attivisti politici e Croce Rossa hanno cercato di nuovo di evitare la tragedia. È questo il contesto in cui è nato “Chez Jesus”.
Il 22 di marzo del 2018 “Briser les frontières”, un collettivo che raduna tante anime di un impegno solidale e politico, ha forzato le porte del sottochiesa di Claviere, per ricavarne un ospizio nell’area liminale della frontiera. Il collettivo riuniva persone di indirizzi politici distinti che, anche se uniti da un ugual obiettivo, dialogavano con difficoltà. L’occupazione ha sicuramente messo in imbarazzo la curia che, nonostante le vivaci rimostranze del parroco, non ha potuto sconfessare la predicazione papale e il dettato evangelico sull’ospitalità. Per questa ragione, dopo vivaci trattative è stato concesso l’uso temporaneo dei locali parrocchiali. Per altro verso, le divisioni all’interno dello spazio occupato hanno creato fratture all’interno dei movimenti che sono poi durate nel tempo . Di fatto, però, in questi mesi “Chez Jesus” ha albergato, sfamato e offerto soccorso alle persone che affrontavano la montagna senza conoscerne i pericoli. In parallelo, volontari e altri collettivi hanno costantemente operato a lato della Croce Rossa e di “Rainbow for Africa”. Ancora nell’aprile del 2018 un’altra riunione con sindaci e prefettura disegna la possibilità di aprire un ricovero a Claviere e si individuano anche spazi possibili: la vecchia dogana. Poi la scelta è stata scartata e si affida alla Croce Rossa il compito di fare da navetta tra Claviere e Oulx.
La situazione è cambiata dopo lo sgombero di “Chez Jesus” (ottobre 2018) e quasi in contemporanea un accordo tra Prefettura, istituzioni locali, Prevostura e la fondazione “Talità Kum” di Don Luigi Chiampo ha consentito l’apertura di un nuovo rifugio, grazie anche a un finanziamento della Fondazione Magnetto. Il rifugio “Fraternità Massi” ha avuto sede presso gli edifici dell’Ordine dei Salesiani nel comune di Oulx. La gestione è stata formalmente assegnata alla fondazione, che ha garantito la presenza giornaliera di un dipendente. Vi è stato il supporto di medici e operatori di “Rainbow for Africa” e di mediatori culturali che si sono alternati nell’accoglienza dei migranti alla stazione. Tra Oulx e Claviere le autoambulanze della Croce Rossa hanno gestito il soccorso. Il funzionamento della struttura è stato garantito anche dall’intervento costante di una rete plurale di volontari che provenivano da tutta la valle. Se in prossimità della stazione di Oulx ha operato il Rifugio, in montagna è intervenuto il collettivo Valsusa Oltre confine con funzioni di assistenza materiale ai migranti. Le maraudes, perlustrazioni di attivisti francesi e italiani, ciascheduno sul proprio versante, hanno offerto (e per fortuna continuano a offrire) soccorso lungo i sentieri innevati. Ciò nonostante, in questi anni, 4 persone sono morte per ipotermia: nel 2018 a Bardonecchia Mohammed Fofana; verso Briançon Alpha (non si conosce il nome preciso) e una giovane nigeriana, Blessing Mathew, caduta in un fiume cercando di sfuggire alla polizia di frontiera. Nel febbraio del 2019 Tamimou è deceduto assiderato, anche lui varcando il colle del Monginevro.
Il rifugio di Bardonecchia, un po’ per la riduzione dei passaggi attraverso del Colle della Scala, un po’ per la volontà dell’amministrazione di depotenziare il servizio di assistenza con l’allontanamento progressivo dei volontari, ha perso di rilevanza e tendenzialmente ha operato in modo da far confluire i migranti respinti al confine verso il rifugio di Oulx. A movimentare lo scenario nel dicembre del 2018 una nuova occupazione si è materializzata a Oulx nella casa Cantoniera dell’ANAS, abbandonata da tempo. Questa occupazione ha dato vita a un centro autogestito, “Chez JesOulx”, idealmente e concretamente prosecuzione di quello di Claviere. Così la rete di appoggio ai migranti ha potuto contare su due rifugi a Oulx e su quello “solidaire” d’oltralpe a Briançon.
Il 2019 ha registrato un assottigliarsi progressivo dei passaggi e un oggettivo, forse inevitabile, indebolimento della rete solidale. Nel 2020, durante la quarantena è stata soprattutto la casa Cantoniera che ha dato ospizio a chi passava, anche se il rifugio istituzionale s’era attrezzato per un’assistenza sicura dal punto di vista medico. Procedendo verso il presente, nei due mesi centrali dell’estate 2020, il rifugio istituzionale s’è trovato ad accogliere soprattutto coloro che, respinti alla frontiera, venivano riportati a Oulx dalla Croce Rossa o dalla Polizia, mentre la dimora occupata ha sicuramente offerto maggiori spazi e attenzione giorno e notte. Il dato più significativo del 2020 è che dopo il lockdown i flussi migratori sono ripresi, però con forti cambiamenti qualitativi. Non più l’Africa e la rotta Mediterranea, ma soprattutto l’Oriente e la rotta balcanica hanno imposto altri scenari. Di conseguenza, si sono prefigurate nuove problematiche in prossimità della frontiera.

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3. Rotte migratorie: indicazioni quantitative

Non ci sono dati precisi sui flussi che hanno interessato la valle, perché gli attori coinvolti hanno utilizzato criteri diversi per procedere al conteggio. I dati che qui seguono rispondono dunque ad approssimazioni di una mobilità che non esce completamente dall’invisibilità.
Dal 2017 a luglio del 2020 quasi 7500 persone sono arrivate a Briançon. Più esattamente, nel 2017, da settembre a dicembre, sono riuscite ad eludere i controlli più di 1400 persone e nel 2018 più di 5000 hanno varcato la frontiera. Il 2019 è scandito da un calo significativo dei passaggi e il rifugio d’oltralpe ha ospitato meno di 2000 persone. Nel 2020, dopo il periodo di lockdown che ha affievolito notevolmente i passaggi, questi sono ricominciati a crescere nei mesi di giugno, luglio e agosto, con un bilancio di circa 350 passaggi. Il numero dei transiti rilevati in Alta Valle di Susa differisce notevolmente da quello di Briançon: infatti dal dicembre 2017 alla fine del 2018 si calcolano 2700 presenze al rifugio di Oulx, poi già nel 2019 si scende a circa 1600, per poi calare a 613 nei mesi di gennaio-luglio 2020. Nel 2018 l’apice degli oltrepassamenti si è verificato durante l’estate, e da luglio a settembre quasi 2000 persone sono riuscite a bucare la frontiera, ma anche nell’inverno il numero di persone che si sono arrischiate sulle Alpi è rimasto alto. Il primo trimestre del 2019 segna ancora transiti a Oulx (più di 700) e arrivi significativi a Briançon (più di 700 presenze al Refuge): in questo caso i dati dei due versanti alpini concordano e indicano anche una porosità notevole delle frontiere. Poi i numeri sembrano indicare leggere flessioni per ridursi da dicembre a giugno in modo deciso. A luglio 2020 e soprattutto ad agosto gli arrivi a Oulx sono di nuovo in vertiginosa crescita, con cambiamenti strutturali dei flussi: nei due mesi transitano con presenza crescente più di 500 persone. Abbiamo dati più precisi a Briançon dove vengono ospitati nel Refuge 216 persone e a luglio e 355 ad agosto con un incremento dei flussi di più del 60%.

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4. Composizione dei flussi

Dal 2017 al 2019 la provenienza dei migranti riguarda i paesi sub sahariani, in particolare la Guinea Conakry, il Gambia, il Mali e il Senegal, con attraversamento del Sahara, passaggio in Libia, rotta del Mediterraneo Centrale. Si tratta in maggioranza di giovani, maschi, che viaggiano soli o in piccoli gruppi e di cui più della metà ha vissuto almeno un anno in Italia. Vi possono essere minori (25-30%) la cui età anagrafica non coincide con l’esperienza maturata. Nel 2020 il cambiamento nella composizione dei flussi migratori è radicale. I migranti arrivano dalla rotta balcanica: sono perlopiù orientali, iraniani e afghani, ma ci sono anche magrebini che hanno scelto questo giro più lungo, perché la Libia è sempre più pericolosa e perché i naufragi, nonostante la riduzione delle partenze, sono cresciuti in percentuale. Inoltre, le polizie di frontiera della rotta balcanica sono meno sistematiche nel prendere le impronte digitali (eurodac, dattiloscopia europea, ossia database europeo per l’identificazione delle impronte digitali) e quindi è possibile passare senza quella schedatura per cui si rischia il respingimento al paese di entrata in Europa: un gioco dell’oca senza fine (cfr. le pagine web di “Rivolti verso i Balcani” e i reports di “No Man’s Land”). I paesi di destinazione sono perlopiù Germania e Inghilterra ed è là che i migranti desiderano presentare domanda di asilo. Tuttavia gli scenari continuano a cambiare in maniera repentina ed è probabile aspettarsi nuove complicazioni. La Croazia si sta sempre più configurando come terra di vessazioni estreme (caviglie rotte, denudamenti, percosse, furti, persone scomparse), l’attraversamento per le montagne dalla Bosnia all’Italia è un percorso sfiancante che prevede a volte più settimane di cammino. Per altro verso la rotta del Mediterraneo centrale ha ripreso ad essere utilizzata, con una crescita degli sbarchi in Sicilia. Per ritornare allo specifico di questa valle montana, occorre anche sottolineare come il transito in Valle di Susa sia correlato alla situazione presente a Ventimiglia, altra frontiera ovest con la Francia.
Le previsioni sono di fatto un azzardo perché il destino del cammino migrante si flette alle rigidità imposte dagli stati e alle barriere (locali, nazionali e internazionali) che si moltiplicano e si dispiegano in ogni dove. Per converso, è opportuno prendere atto che vi è una costante nelle politiche dell’Unione Europea e degli stati nazionali interni o limitrofi all’Unione: finanziamento a nazioni (tra le altre Turchia, Libia, Croazia) affinché sbarrino i flussi, di fatto sostenendo pratiche disumanizzanti e degradanti che non si vogliono accreditare come nostre. In modo speculare i differenti Paesi richiedono finanziamenti e computano erogazioni di aiuti aprendo e chiudendo i varchi a seconda delle opportunità. Vi è un dato oggettivo: la pelle del migrante è marchiata da geometrica contabilità e da cruenta quanto moralmente disinvolta diplomazia.

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5. 2020: cambiamenti qualitativi nella migrazione

La grande novità è l’alta presenza di donne. Si tratta spesso di famiglie con numerosi figli, anche avuti durante il cammino: tra luglio e metà agosto sono stati contati, con sicuro difetto, 130 tra bambini ed adolescenti e 45 famiglie che hanno soggiornato temporaneamente a Oulx. Nel “Refuge solidaire” di Briançon tra luglio e agosto sono stati ospitati a Briançon 117 minori. Anche in questo caso i dati non coincidono anche perché ci sono state famiglie che dopo un respingimento o dopo l’aver accertato difficoltà nel cammino superiori alle proprie capacità hanno ripiegato su Ventimiglia o su passaggi a pagamento disponibili nelle metropoli. Inoltre ci sono famiglie che non passano per il Refuge solidaire.
La durata dei viaggi varia dai due ai quattro anni. L’abbandono del paese d’origine è perlopiù dovuto a ragioni di persecuzione, per cui tutto il nucleo familiare è obbligato alla fuga. Il cammino in gruppi numerosi e compatti presenta sicuramente alcuni vantaggi dal punto di vista della sicurezza, ma d’altro canto si affermano modalità differenti negli spostamenti causate dai costi elevati per reggere viaggi così lunghi e dalla difficoltà a passare inosservati. Le soste nei paesi di transito dipendono anche dalla necessità di reperire le risorse per la continuazione del viaggio (i costi dei passeurs sono alti: 4000 euro da Igoumenitza a Lecce; la stessa cifra dalla Serbia a Trieste; 1400 per persona da Velika Kladuša a Zagabria). Il costo per spostarsi dall’Afghanistan o dall’Algeria può comportare spese superiori ai 7000 euro a persona. Quando si tratta di famiglie probabilmente il costo per unità è minore, ma gli importi finali sono consistenti e le informazioni relative sono poche. Abbiamo notizia di un trasferimento da Oulx a Parigi per 3 persone al costo di 1200 euro, un prezzo relativamente basso, ma probabilmente il passeur aveva relazioni di parentela con i migranti. Il problema del denaro è connesso a quello delle relazioni e dei vissuti dei migranti. Alcune considerazioni si possono fare: I) chi parte spesso non è il più povero e possiede un capitale per iniziare il viaggio (a volte ha venduto tutto); II) può contare sul denaro spedito da familiari che hanno potuto già arrivare e che probabilmente lavorano; III) in ogni caso, per la maggioranza, è necessario trovare lavoro lungo il cammino (e non in tutte le nazioni è possibile). Spesso è proprio durante queste soste che i minori apprendono una lingua franca diversa dalla loro: l’inglese e a volte il greco o una lingua balcanica.
Nel caso in cui a spostarsi siano famiglie, ed è il caso degli afghani, sessualità, riproduzione, vita familiare non subiscono sospensione. La costatazione che all’interno dei nuclei familiari migranti (4-7 persone) ci siano sempre più spesso anche neonati o bambini nati lungo il cammino è qualcosa che impone riflessioni sulle caratteristiche di questa migrazione. Vi sono bambini che hanno conosciuto “non luoghi”, collages di terre e sono estranei a quelle delle origini come a quelle dell’approdo. Il viaggio è la terra di appartenenza, anche dal punto di vista delle emotività: una normalità per cui non stupisce ascoltare un bimbo che, alla parola bosco, in modo disarmante faccia cenno allo zittirsi, aggiungendo “ssst, polizia!”. Lo ha ascoltato tante volte. Tuttavia, vale la pena ribadire che tutto ciò che hanno passato non ha tolto loro il sorriso e un atteggiamento verso l’eccezionale come fosse solo la norma. Il ruolo dei minori è fondamentale, la loro capacità d’apprendimento e la loro predisposizione ad adeguarsi al nuovo sono competenze strategiche. Questi nuclei migranti parlano quasi solo le lingue di origine: spesso è un bambino o un adolescente (in media fra 11 e 14 anni) l’unico che conosce l’inglese e che può far da interprete con il mondo esterno. Per altro verso, questa crescita coatta in nuovi contesti può non risparmiare frizioni tra fasce di età e fra genitori e figli. Il viaggio, per quanto necessiti di quella obbedienza che è garantita dalle strutture patriarcali della famiglia, libera dinamiche di emancipazione e scollamento sia tra generazioni sia anche all’interno dei rapporti di genere: dinamiche che si manifestano anche nell’uso delle tecnologie e, come abbiamo appena detto, nel monopolio di una comunicazione verso l’esterno che può rimanere riservata anche nei confronti del nucleo di appartenenza. Non è da sottovalutare il fatto che l’uso di abiti occidentali e la ridotta pratica del velo finiscano per aprire varchi nella tradizione. Sarebbe interessante ancora prendere in considerazione lo scarto tra fratelli minori (bambini o adolescenti) e fratelli maggiori, in quanto questi ultimi a volte sono, forse anche più dei genitori, rigidi nel difendere la coesione della famiglia e la tradizione che ne potrebbe essere garanzia.

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6. Emergenze umane e sanitarie

Ragionare in tempo di covid 19 sulle sofferenze dei migranti è aggiungere un’emergenza ad altre, con le conseguenti complicazioni. È dunque un tema delicato.
Le condizioni igieniche in cui sono costretti a vivere i migranti scatenano patologie dermatologiche e lasciano libero il campo all’azione di qualsiasi parassita. A questa situazione generale si aggiungono ora, con la rotta balcanica, le sofferenze riguardanti camminamenti lunghi e impervi, notturni e in boscaglie, dove alle piaghe ai piedi si aggiungono le lacerazioni dovute a rovi e spine che degenerano prontamente in gravi infezioni. Ancora una volta sono gli arti che patiscono le ingiurie del cammino: qui sulle montagne dell’Alta Valle nella stagione invernale era ed è il gelo a mettere a repentaglio la vita del migrante. Bagnarsi, perdere le scarpe, essere costretti a fermarsi per spossamento, perdere il cammino ed essere esposti a temperature estreme causano assideramento e possibili e letali ipotermie.
Sarebbe però deviante pensare solo ad agenti patologici naturali: si sono raccolte molte testimonianze in area balcanica di caviglie o gambe spezzate dalle polizie frontaliere e, in alcuni casi, da passeur intralciati nei loro commerci. È drammaticamente coerente che tra le vessazioni denunciate ricorra il sequestro o forse sarebbe meglio dire il furto dei documenti, dei telefonini oltre che dei denari da parte di forze dell’ordine. Queste ultime pratiche sono un modo di “tagliare le gambe”. Nonostante la situazione in Italia e in Francia sia differente da quella balcanica, anche sui nostri valichi la magistratura francese ha condannato agenti della polizia di frontiera francese per violenza, falso e appropriazione indebita (sentenza del 30 luglio 2020, tribunale di Gap). Non dimentichiamo peraltro la morte della ragazza nigeriana Blessing Mathew nel marzo del 2018, finita in un fiume per sfuggire all’inseguimento della PAF o della gendarmerie.
Le emergenze sanitarie riguardano sicuramente i corpi, le cui cicatrici ricordano le offese anche a chi vuol dimenticare. Tuttavia, forse le ferite più profonde sono quelle che rimandano al mondo interiore, tanto da far parlare gli etnopsichiatri di archeologia del trauma. Sempre più spesso ci si deve confrontare con questi spaesamenti dell’umano, queste sofferenze intime quanto sorde che a volte le persone vorrebbero solo cancellare, ma che riaffiorano e che hanno bisogno di essere denunciate e inserite in un orizzonte di senso. Sempre più spesso chi accoglie un migrante deve fare i conti con questo genere di sofferenza e con una sintomatologia che poche volte trova le parole per affiorare. Non è semplice accettare che sia un tuo simile ad aver compiuto gesti di cui non si vorrebbe neppure avere memoria. In alcuni casi la sofferenza assume la forma della depressione, in altri della reazione violenta e incontrollata e nell’incapacità a reggere situazioni di tensione. Sia al Rifugio istituzionale come alla Casa cantoniera continuano a ripetersi casi di sofferenza e disagio psichico di fronte a cui vi è evidente incapacità a rispondere in modo adeguato, per mancanza di competenze disciplinari.
La rotta balcanica ha anche evidenziato emergenze relative alla composizione dei nuovi flussi. L’arrivo di famiglie, di donne, a volte in stato di gravidanza o di post parto, di bambini, ha comportato l’evidenziarsi di nuovi bisogni, rischi ed evidentemente anche nuove sofferenze. Nel solo mese di agosto diversi casi sono risultati particolarmente drammatici: una donna con bambina down di pochi mesi, avuta in Serbia. In altro caso, una donna che denunciava di patire svenimenti nell’affrontare la fatica del camminare e di un figlio con handicap grave. A parte queste situazioni estreme, la presenza di neonati, di donne gravide o puerpere rende necessarie altre attenzioni mediche, ginecologiche e pediatriche. Ci sono state richieste di intervento medico per sofferenze locali connesse al parto da poco avvenuto o, in altri casi, per diabete, a volte diagnosticato prima della partenza ed altre volte insorto durante il viaggio.
Il Covid 19 non rimane fuori dallo scenario. Di nuovo in Europa è documentata una recrudescenza, virale in alcune zone dell’Italia, in Spagna e soprattutto in Francia (per noi importante per la prossimità del confine), ma anche in Grecia e in generale nei Balcani. I migranti, seppure non siano il veicolo principale del contagio, sono spesso costretti a vivere in situazioni di sovraffollamento, di igiene precaria e comunque di movimento. Per il momento non sono stati registrati casi su questa frontiera, ma il rischio è evidente. Inoltre non tutti quelli che transitano per questa valle si fermano nel rifugio o nella casa cantoniera, alcuni arrivando a Oulx prendono direttamente gli autobus dalla stazione per il confine. Ed è proprio la stazione che diviene una area sensibile per possibili contagi.
Di fronte alle emergenze sanitarie manca sicuramente un intervento sistematico e coordinato. L’attenzione medica prestata da Rainbow for Africa, prima a Bardonecchia poi a Oulx e anche a Claviere, è stata sicuramente importante ma di fatto è terminata con il lockdown. Oltre al 118 reperibile per emergenze che necessitano di ricovero ospedaliero, rimane il contributo spesso individuale della guardia medica o di medici di base che si prestano per eventuali e straordinarie visite. L’apporto dato da “Medecins du Monde” è stato fondamentale per i migranti presenti nella Casa cantoniera. Tuttavia è evidente la mancanza di un’attenzione medica, per un diritto alla salute in quanto diritto umano e per patologie che potrebbero avere anche ripercussioni sulla popolazione locale. Nonostante siano state allertate le istituzioni locali italiane, permane un silenzio preoccupante. A volte lo sguardo verso il migrante scade in ottiche puramente vittimistiche, altre volte l’invisibilità del migrante e l’umanità negata a queste persone sono spesso desiderati dall’opinione pubblica e si configurano come pratiche “premeditate” da parte di istituzioni che si dimenticano che è anche un loro compito farsi carico di queste emergenze. In questi tempi di covid 19 dimenticarsi che la salute degli ultimi riguarda la salute di tutti è atteggiamento miope e colposo.

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7. Strategie di accoglienza e forme di umanitarismo

Per terminare questo quadro sul confine ovest alpino, può essere interessante prendere in considerazione ancora due questioni: I) il raffronto tra il confine dell’Alta Valle di Susa e quello di Ventimiglia; II) le reti e le diverse strategie dell’umanitarismo a cavallo delle Alpi.
In relazione alla prima questione, i due cammini della frontiera ovest verso la Francia interagiscono a distanza a seconda delle aperture o delle chiusure operate in ciascun confine. A volte i migranti tentano da un lato e poi, dopo uno o più insuccessi, decidono di provare dall’altro lato. Per la scelta del valico sono evidentemente determinanti anche la stagione e il fattore climatico oltre che la rete di comunicazioni che costruisce catene migratorie. Sicuramente i passaggi, seppure in crescita, in questo rilievo montano sono nonostante tutto gestibili e ridotti. Si possono stimare in questa seconda metà di agosto tra i 15 e 20 passaggi al giorno sulle Alpi Cozie, mentre a Ventimiglia già solo i respingimenti oscillano tra i 90 e i 120 giornalieri (stime delle associazioni “20K”, “Kesha Niya” e della diaconia valdese, agosto 2020). L’effettiva consistenza numerica dei migranti nella città ligure è difficilmente calcolabile, in quanto l’unico rifugio era quello della Croce Rossa, ora chiuso. Chi passa è costretto a rifugiarsi sotto i ponti della ferrovia e del cavalcavia e lungo le sponde del fiume Roya. Si parla di 200 persone, ma il numero dei respingimenti fa credibilmente pensare a numeri molto più consistenti. Vi sono distribuzioni giornaliere di cibo all’imbrunire presso il cimitero della città e un presidio in prossimità del confine con Mentone che offre una prima assistenza. Qualche famiglia ha trovato anche albergo temporaneo in una chiesa della città. La solidarietà è internazionale, ma l’isolamento dei migranti è evidente in città. Solo un bar, ormai conosciuto per il suo tradizionale impegno, l’”Hobbit”, è punto di ritrovo e coordinamento.
Al contrario, a Oulx rimangono due luoghi, differenti tra loro, che ospitano: il rifugio e la casa Cantoniera (“Chez JesOulx”), mentre lo spazio solidale di Bardonecchia è ormai chiuso. Sul versante francese c’è ancora il “Refuge solidaire”, che però, con la vittoria di una giunta di destra, non ha avuto il rinnovo della convenzione dal Comune e a cui è stato intimato di chiudere e lasciare liberi i locali entro la fine di ottobre 2020. La collaborazione tra volontari italiani e francesi è stata determinante in questi anni, così come la funzione complementare dei luoghi d’accoglienza per evitare tragedie. È preoccupazione diffusa che la chiusura del centro della Croce Rossa di Ventimiglia e quello preannunciato di Briançon possano essere tasselli di una strategia più ampia, anche in relazione all’attuale collaborazione tra polizie di frontiera. La sterilizzazione dei centri di accoglienza, come insegna Ventimiglia, non determina una diminuzione dei flussi, ma solo un’aggravarsi dell’emergenza umanitaria. I provvedimenti presi dall’autorità giudiziaria con divieto di dimora per gli attivisti fondatori di “Chez Jesus” e “Chez JesOulx” erano motivati dalla necessità di evitare nuove occupazioni nella prospettiva di uno sgombero della Casa cantoniera. Ciò che avviene in Valle di Susa non è disgiunto da quello che accade a Trieste, Ventimiglia e Lampedusa. Per altro verso, i reports di differenti organizzazioni umanitarie e sovranazionali attestano una crescita della pressione sul versante balcanico come su quello della rotta del Mediterraneo centrale. I tragici eventi di Moria, all’isola di Lesbo, anticipano dinamiche che si riattualizzeranno lungo altri confini. Capire in tempo è fondamentale anche per evitare che con l’arrivo dell’inverno la situazione divenga ingestibile.
Anche all’interno di questo quadro di instabilità, dove il margine produce al proprio interno complicazioni ed altri margini, è importante provare a ragionare sulle differenti forme di umanitarismo e di come esse si possano leggere in modo critico, ma non manicheo. In valle di Susa si può documentare come la società civile abbia risposto in modo disinteressato all’emergenza migrazione. È importante anche ribadire che l’unica emergenza è stata quella umanitaria, forse anche per questo le istituzioni (non tutte e non sempre) sono risultate assenti o distratte, mentre al contrario una popolazione varia per età, censo, residenza, idee politiche si è mobilitata in modo disinteressato. Possiamo pensare a centinaia di persone che hanno dimostrato sensibilità e capacità di sacrificio. È importante anche ricordare che, così come è capitato anche a Ventimiglia, il confine non ha solo separato ma ha costruito cooperazione e un dialogo transfrontaliero e internazionale (Cfr. nota 6). S’è trattato di una rete variegata ma assai interessante, che pone il problema di studiare le frontiere in modo comparato e solleva la necessità di una collaborazione tra gli attori dei diversi margini. Ora per riportare lo sguardo verso l’ambito locale vale la pena soffermarsi sull’esperienza vissuta presso questo confine alpino.
Rifugio istituzionale e Casa cantoniera a Oulx hanno, pur nelle differenze, svolto un ruolo per molti versi complementare: l’uno aperto solo dalle 19pm alle 8am e l’altro accogliente per le 24 ore, l’uno istituzionale, l’altro nato da un’occupazione e sempre a cavallo tra legalità e illegalità. Ambedue però hanno salvato delle vite. Durante il periodo di massimo flusso (2017-2018) il rifugio ha fornito a chi passava cibo, ricovero, letto, vestiti, scarpe, consulenza medica e giuridica. Non è poco. Però dopo la stagione del Covid e la quarantena il rifugio “Fraternità Massi” è stato perlopiù disertato dai migranti in partenza, ma ha continuato a svolgere una funzione ricettiva importante per coloro che venivano respinti. A spostare i migranti verso la casa occupata hanno però pesato altri fattori che possono essere sintetizzati in un’accoglienza non assistenzialistica e giocata sull’autonomia di chi arriva. Il migrante ha spazi in cui fermarsi, riposarsi, informarsi e, insomma, prepararsi per riprendere il cammino. V’è una sala lettura, c’è uno spazio antistante la casa vicino al fiume, stanze per famiglie, per fumatori e non e soprattutto una cucina in cui chi arriva può preparasi il cibo con le ricette della propria terra. Ultimamente è stata anche allestita una sala per i bambini. Questa ripartizione degli spazi e questi tempi lassi sono risultati preziosi con l’arrivo dalla rotta balcanica di famiglie con prole numerosa. Ma soprattutto ciò che distingue i due centri di accoglienza è il fatto che nel secondo caso il migrante non è infantilizzato e ridotto semplicemente a povero da assistere, ma gli viene riconosciuto il ruolo di attore, può scambiare la propria storia e la propria esperienza di un mondo che ha visto e di frontiere che ha valicato. L’uscita da questa invisibilità, per cui il migrante ha un nome, non è solo un’entità da registrare nelle categorie delle entrate e delle uscite o uno scarto da nascondere alla vista, è un salto di prospettiva. Ha una storia, rabbie, sofferenze, desideri ed esperienze, è margine vivente da cui poter guardare, finalmente con occhio attento, la nostra norma e il mondo che viviamo. La sua presenza non è più disgiunta da quella degli altri attori economici, politici, territorialmente ubicati: è parte sempre di una rete di situazioni e di un complesso di relazioni. Inoltre, riconoscere che un migrante non è mai solo un numero, ma è soggetto agente all’interno di eventi e narrazioni, permette uno sguardo che colloca il migrante nel mezzo di tanti interessi e di tanti giochi tutt’altro che disinteressati, in cui vi è posto non neutrale anche per chi osserva.

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