di Luca Ramello

Sulla scia del memorandum UE-Tunisia del luglio 2023, che ha segnato un’ulteriore securitizzazione del regime delle frontiere nel Mediterraneo centrale, questo articolo analizza le sue ripercussioni sulla pesca costiera tunisina. Alla fine dello stesso mese, le autorità italiane hanno accusato i pescatori tunisini di estorsione sulle imbarcazioni di migranti, qualificandoli come “pirati”. Sulla base di una ricerca sul campo condotta nella Tunisia centro-meridionale nel periodo febbraio-giugno 2023, l’articolo individua tre elementi chiave per contestualizzare queste pratiche predatorie all’interno dei recenti sviluppi del regime di frontiera UE-Tunisia:

1) l’aumento della criminalizzazione della solidarietà marittima,

2) l’impunità di fronte alle violazioni dei diritti umani, esacerbata dalla retorica razzista del presidente Saied, sostenuta dall’UE, che legittima la violenza contro le persone razzializzate,

3) le denunce dei sopravvissuti e della società civile tunisina e internazionale contro i metodi di intercettazione opachi e violenti, presentati come implicati nel mercato nero degli attrezzi. Nonostante questi ostacoli, di fronte alla crescente insicurezza in mare, lo spirito di solidarietà dei pescatori tunisini resiste.

L’obiettivo della ricerca è quello di decostruire la dicotomia tra la loro stigmatizzazione come “trafficanti” o “pirati” e il ruolo vitale che svolgono per la sicurezza in mare, criticando al contempo gli eccessi delle attuali politiche migratorie nel Mediterraneo.