di Luca Ramello

«Baba samahni» (in tunisino «Lasciateci passare», lett. «Papà perdonami») dicono coloro che tentano di attraversare. «Darouri» (trad. «siamo obbligati») risponde la Guardia Nazionale. È questa la tipica scena delle intercettazioni violente al largo delle coste tunisine, quando le persone sulle imbarcazioni non autorizzate tentano di lasciare il Paese e resistono all’arresto, rischiando naufragio e morte.

Nei primi cinque mesi del 2023, sono in media 4 i dispersi e i morti documentati quotidianamente dal Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali.

Secondo Fassin (2019), la “biolegittimità” consiste nella giustificazione di certe politiche basata sul riconoscimento della vita nella sua dimensione biologica come valore supremo. Questo concetto, applicato all’analisi delle politiche migratorie nel contesto tunisino, rivela la contraddizione fra l’affermazione astratta della dignità di ogni vita umana e il loro trattamento concreto da parte dei governi tunisini ed europei, della Guardia Nazionale tunisina e delle Organizzazioni internazionali.
Adottando la concezione di filosofia come maniera di vivere illustrata da Hadot (2005),l’articolo guarda alla consapevolezza del valore della vita e alla filosofia vissuta dal punto di vista di quanti – respinti – si preparano a ripartire. In questo senso, i naufragi causati dalle autorità tunisine in cooperazione con quelle europee nel Canale di Sicilia fanno trasparire nella maniera più evidente il basso valore che le istituzioni coinvolte attribuiscono nella concretezza a certe vite a cui viene negata contemporaneamente la sopravvivenza biologica e l’uguaglianza politica nella libertà di movimento.