Acque territoriali greche 600 morti.
Quando non si vuole salvare si lascia morire. Vi è una chiara responsabilità, una premeditazione, che attraversa le frontiere europee e che radica nelle norme, nel geometrico progetto di “clandestinizzare”, nei disegni di confinamento, nella esteriorizzazione delle pratiche di sbarramento dei confini, nelle procedure accelerate in frontiera. Il favoreggiamento della morte cercata è coerente ai disegni di abbassare gli standard (sic!) dei paesi terzi ritenuti sicuri, di trasferimento in paesi di transito, del rinvio in quegli stessi paesi di origine ritenuti sicuri delle persone in cammino, della militarizzazione dei confini. Non esitiamo a definire stragista questa volontà ipocrita e assassina, non solo di migliaia di persone ma anche dei principi, dei valori, che hanno dato forma alle nostre Costituzioni.
I morti nelle acque territoriali greche, quelli di Cutro e tutti quelli di cui non abbiamo nome e che costellano le rotte migratorie sono il risultato di una progettualità demagogica e criminale di rendere invisibili, nella vita e nella morte, gli scarti e gli irriducibili a questo nostro modello di sviluppo. Togliere il diritto non a una terra ma alla terra stessa è la più radicale violazione dei diritti umani. Lasciare al mare, al deserto, alla montagna il compito di risolvere il problema è una logica di sterminio , già conosciuta nelle sue grammatiche nel corso della storia.
Poi rimangono il silenzio, le lacrime e la rabbia. Ogni nostro sforzo sarà contro questa normalizzazione assassina. Non 600 migranti morti, ma 600 persone, con nome e cognome e vita, che vogliamo ricordare e che sono specchio di una normalità disumana.