Nove migranti, tutti magrebini e subsahariani, il 31 maggio sono stati soccorsi in alta quota al confine tra l’Italia e la Francia, e uno di questi ha dichiarato di essere caduto inciampando e di essersi trovato vicino a un cadavere di cui ha saputo descrivere l’abbigliamento.

Sono passati sei giorni e non vi è notizia ufficiale del ritrovamento del cadavere. Un silenzio inquietante che ricorda altri silenzi che condannano all’invisibilità le persone in cammino, non solo in vita ma anche dopo la morte.

Non è la montagna che uccide ma il sistema di frontiera; i morti nel Mediterraneo, a Cutro, a Ventimiglia e sulle Alpi sono il risultato di una stessa pianificata politica dell’orrore.

Non siamo di fronte ad un fatto tragico ed eccezionale, ma ad una concreta eventualità che si ripropone ogni giorno ad ogni ‘game’.

Solo l’intervento plurale e quotidiano di solidali lungo le rotte, in mare, in montagna, ai confini permette di limitare le vittime.

Nel 2023 è repentinamente cambiata la composizione dei flussi, composti non più in prevalenza da persone provenienti dalla rotta balcanica ma dal Mediterraneo centrale e da aree subsahariane. I  numeri dei passaggi sono in crescita, così come le vulnerabilità.

Vediamo passare donne, famiglie, bambini, persone che hanno attraversato il deserto, subito tortura, violenza sessuale in Libia e in Tunisia. Si tratta molto spesso di persone che non conoscono la montagna: sono gruppi dalle eterogenee provenienze e differenti radici storico-culturali. Ad accomunarli è il desiderio di partire, lasciare il più presto possibile l’inferno dietro di sé o cercare altro per la propria famiglia e per sé.

Al contempo la militarizzazione è ostentata lungo tutto l’arco alpino transfrontaliero. I respingimenti sono aumentati in modo significativo, sigillando la frontiera ai più deboli e vulnerati. Anche i nuovi decreti si inscrivono in questo quadro di clandestinità forzata, precarizzazione delle esistenze e di costante messa a rischio della vita. Per le persone in cammino rivolgersi a smugglers o scommettere sui cammini più pericolosi, senza neanche quell’esperienza che si maturava lungo la rotta balcanica, diviene una scelta forzata. “Terribile è che le cose siano come sono” e spesso constatiamo che nonostante gli sforzi non ce la facciamo a resistere a una disumanità sistemica.

Solo l’osservazione di quanto accade, l’analisi degli eventi e il mutuo aiuto tra presidi solidali a livello nazionale può contrastare questa necropolitica, demagogica quanto tragica.